Scusate il ritardo ma…il caso – sotto forma di Babs – ha voluto che fossi precettata per un servizio fotografico, per l’Associazione italiana ristoratori giapponesi, in occasione del Matsuri festival (qui info che vi potranno servire anche per il prossimo anno).
Sebbene al Matsuri io non sia riuscita ad andare, causa tonsillite galoppante – a maggio? che fantasia! ma alzate gli occhi al plumbeo cielo o lasciateli galleggiare in qualche pozzanghera… – la ghiotta occasione mi ha portato presso alcuni dei locali giapponesi tra i più interessanti di Milano.
Son partita da un punto fermo nella ristorazione giapponese cittadina, il Poporoya. Il Poporoya è un piccolo, anzi piccolissimo, sushi bar con annesso spaccio alimentare; di fatto è il primo, il più tradizionale e forse il più autenticio tra i sushi bar di Milano. Scordatevi, dunque, locali figheggianti, arredati nei colori dei neri e sabbia, dalle luci soffuse, con bella gente nostrana che mangia sushi scadente, per sentirsi al passo con i tempi e per stare a dieta. Qui tutto è verace.
Il locale è decisamente angusto, spartano, ma di grande fascino. Come fascinosa è la sua storia, da leggere – obbligatoriamente 🙂 – qui.
Pare che lo chef, il signor Shiro – il brillante allievo di uno dei più grandi maestri di cucina giapponese – sia, oggi, uno dei massimi esperti di pesce in città.
Qui si preparano superbi sushi e sashimi e in porzioni piuttosto abbondanti, per rifocillare il lavoratore stanco.
Il Signor Shiro è di una cortesia senza fine. Sorride nel modo cordiale, doveroso e imbarazzato tipico dei nipponici e prima di salutarmi ha un delizioso pensiero per me: due libri di cucina giapponese autografati da lui (nell’ultima pagina, ovviamente!), una bottiglia di grappa giapponese, e una bottiglia di un vino alla prugna, molto femminile, chiamato Takara Plum e con cui ho realizzato la ricetta di oggi.
Ci si congeda all’occidentale, ma con una stretta che arriva incerta e con una frazione di ritardo, il che fa capire che qui siamo in uno spazio-tempo davvero lontano da quello che scorre appena varcata la soglia. Le proprie tradizioni non si sono mai dimenticate.
Conto di tornarci.
Ho desinato da Hiro’s, dove la proprietaria, la Signora Hiromi, mi ha deliziato con uno dei tonni marinati e puntarelle più buoni mai assaggiati. Puntarelle? Si, perché a quanto pare questo locale ha fatto della sinergia la sua filosofia: piatti tradizionali ma con contaminazioni nostrane qualora il connubio sia anche più felice rispetto all’originale.
Il locale è davvero atipico perché ci allontaniamo molto dal classico arredo nipponico. Sembra più un bistrot vagamente shabby chic. Tutto molto curato e garbato, compresa la proprietaria.
Successivamente approdo al Finger’s, un locale per modaioli molto bello. Roberto Okabe, il celebre primo chef non pervenuto.
Bancone a vista dove una vasca piena di riso attende di rinascere come coloratissimo sushi.
Personale estremamente disinvolto, tutti ridono, scherzano e fanno un po’ di caciara. Atteggiamenti che trovo un po’ poco giapponesi, ma forse mi aggancio solo a degli stereotipi.
In ogni caso, l’impiattamento è ricercato e le pietanze davvero molto invitanti. Non le ho assaggiate perchè ho un sacco di resistenze e pregiudizi nell’assaggaire pesce alle quattro del pomeriggio. Ma forse è stata una mia dabbenaggine.
Nel complesso un locale molto bello e di grande effetto, ma un po’ troppo glamour per i miei personalissimi gusti. Se, invece, a differenza di me, voi siete dei milanesi molto trendy e molto frill questo è il posto che fa per voi.
Passo poi in Garibaldi dove mi aspetta, con sciolta sicumera, la proprietaria di un altro ristorante giapponese decisamente nascosto: Osaka. Anche qui bancone a vista dove c’è una sessione di taglio del pesce. Mi godo lo spettacolo di un primo chef che insegna a una novizia a tagliare il pesce come si deve. Non pare essere una cosa così semplice. Lei abbozza, lui la rimbrotta. Tutta in lingua locale. Loro.
Infine arrivo allo Zero.
Lo Zero è un locale bellissimo. Bellissimo. Elegante e di grande raffinatezza. Qui tutto è less is more. E anche io non aggiungerò più di tanto, per non turbare questa condotta.
Grandi e preziosissime lastre di onice retroilluminate rivestono tutte le pareti e i piani dei tavoli. Sedie in pelle testa di moro li accompagnano.
La cucina – che è lungo il corridoio che porta al sushi bar – è seminascosta da vetrate fumè. Prezzi, ovviamente, non per tutte le tasche. Fatevi accompagnare dallo zio d’America. Anche non il vostro.
Mi è giunta voce che i prezzi abbiano una certa oscillazione dai 91 ai 274 eurini (immagino a cranio).
Lo chef , ecco, non è proprio uno spasso. Mi dice che lui nelle foto non sorride. Appare sempre un po’ corrucciato. Bene, vada per il tenebroso samurai, il Toshiro Mifune della cucina, gli dico. Non coglie. Anche lui è less is more. Le sono battute superfle. Meglio non insistere.
Fotografo due piatti bellissimi come l’intorno. E non potevo aspettarmi di meno.
Me li illustra come un commesso di Bulgari potrebbe descrivermi una parure di diamanti. Rimango incantata davanti a un piatto di pesce crudo e fois gras posto su lastra di sale rosa. Ma, non paga dell’insuccesso precendente, e cercando di recuperare, lancio un’altra battuta strizzando l’occhio al delegato dell’associazione che era con me: “Magari poi lo chef ce li fa assaggiare…eh eh“.
Il nulla eterno, il rumore del silenzio, solo qualche vibrazione d’aria ferma. E solo dopo qualche minuto lo chef ci dice:” E’ un piatto molto costoso...”
Vabbè io oggi sono qui per parlarvi di ciò che ci ho fatto con i graditissimi doni del signor Shiro del Poporoya: un mojito con il Takara Plum, un vino liquoroso a base di prugna.
Secondo me è perfetto per la sangria ma io ci ho fatto, appunto, un Mojito, ma per signorine.
Il Takara, che vi prego di provare almeno una volta in vita vostra, soprattutto se siete donne, un pò leziosette e amate sgargarozzarvi bevande fresche, dolci e moderatamente alcoliche, lo potete trovare on line, negli alimentari giapponesei o, se siete a Milano anche da Poporoya.
Ricetta al volo x 2:
- Takara Plum, 400 ml
- Sake, 1 bicchierino da liquore
- Zucchero di canna, 1 cucchiaio
- Menta fresca, un mazzolino
- Lime, 2
- Ghiaccio tritato e in cubetti
Premete un pò di menta sul fondo di una brocca senza pestarla e aggiungete lo zucchero, il sake e i lime spremuti (tenete una fettina per decorare), mescolate bene e aggiungete il ghiaccio tritato e il Takara Plum. Servite con qualche cubetto di ghiacchio (nel caso “decorati” con una foglia di menta all’interno).
FoodBlog come una catena di Sant’Antonio che mi rende ogni giorno più felice. Apri un link, poi un altro, poi un altro ancora e poi finisci per trovarti in luoghi dai quali non vorresti più uscire, mentre sulla porta della cucina mezza famiglia scalpita accompagnando lo scalpitio a brontolio di pancia….ignare del fatto che tu hai appena ‘penetrato’ un luogo di autentica magia culinaria-fotografica.
E così che con fare beota scruto da più di mezz’ora la foto di questo mojito che strizza le sue foglie di menta (si, forse doveva essere l’occhio, ma un ce l’ha)…sono oltre lo SBAV, ben oltre l’ammirazione per queste immagini così nitide, perfette, reali…cosi tanto oltre che nemmeno ho fatto in tempo a rendermi conto che alla mia lista di Muse si è aggiunta anche Sara Melocchi.
Magnifica! Splendida!
Commento
avrei pagato per essere con te da Zero.
più che altro a godermi la scena!
ciò detto, avevo già visto i tuoi scatti e…… sapevo che eri la persona giusta.
brava brava brava
adesso bisogna organizzare una cenetta jap, assolutamente!
🙂
grazie Sara, di tutto.
Che bella esperienza.. un tour così è stupendo e tu riesci sempre a farci vivere il tutto in prima persona..
Not Only Sugar
io sono stata qualche anno fa al Poporoya. Delizioso, unico. Un’angolo di Giappone a Milano.
Rebeka: grazie per i complimenti entusiasti
Babs: si dai un bel risto jap…volentieri
Sugar: grazie apprezzo molto questo genere di riconoscimenti 🙂
Lauretta: devo assolutamente andarci a mangiare…